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Dopo un'assenza di undici anni, Moltheni si ripresenta con un nuovo album, “Senza Eredità” questo il titolo, pubblicato ancora da La Tempesta Dischi.
Stavolta sembra che Umberto Maria Giardini abbia davvero chiuso il cerchio, con questo progetto che ha segnato l'ultimo ventennio della scena indie rock di casa nostra.
Ha scavato a fondo, ha aperto l'armadio dei ricordi, ha recuperato undici tracce, mai pubblicate prima, e le ha riportate in vita, facendo diventare questo ottavo album il riassunto perfetto di quello che è stato Moltheni.
Non c'è sorpresa mentre si ascolta “Senza Eredità”, non ci sono guizzi, colpi di coda, perché questo lavoro ha un diverso obiettivo; le undici tracce che lo compongono hanno un effetto amarcord sull'ascoltatore e chi, come il sottoscritto, ha vissuto in prima persona quel periodo, non può non tornare indietro nel tempo.
Si respira un'atmosfera decisamente anni '90, con la mente si torna indietro fino agli esordi di questo progetto che ha avuto grande rilevanza, tanto da far sentire i suoi echi ancora oggi, in molti di quei lavori che vengono catalogati come nuovo cantautorato indie.
La cosa davvero bella di “Senza Eredità” è che non ha il sapore amaro di un lavoro nostalgico. Non è uno di quei dischi che si trascina stanco verso l'ultima nota, è bensì un album che conferma lo stile indiscutibile di un autore che ha creato qualcosa di importante.
È un'altra la conferma che ho avuto ascoltando questo disco: il rapporto di amore-odio che si è instaurato nel tempo fra Moltheni e il suo “creatore”, che forse è rimasto intrappolato in un certo periodo della sua carriera da quello che lui stesso aveva scritto e che ora può sentirsi definitivamente libero.
Ma è una considerazione del tutto personale.
Quello che conta è che questo disco, nonostante il titolo, ci lascia una grande eredità, fatta di scrittura raffinata e mai banale.
Non amo fare il nostalgico ma è bello, ogni tanto, tornare con la mente a quel passato recente, che sembra lontanissimo a dire il vero, quando essere indie voleva dire qualcosa, perché avevi qualcosa da dire.
Brani migliori: Estate 1983, Il Quinto Malumore
© Luca Cameli