Ciao Clarissa, grazie per essere con noi. Abbiamo avuto il piacere di leggere i tuoi romanzi pubblicati in Italia da Carbonio Editore e vorremmo farti alcune domande.
C: Grazie mille per averli letti ☺
I tuoi romanzi sono ambientati negli anni Novanta, quando internet non era così pervasivo e il mondo dei social nemmeno lo immaginavamo. Cosa ti porta ad ambientare le tue storie in quegli anni, epoca in cui tu eri una bambina? È nostalgia, curiosità…
C: Etichettarla come nostalgia non è del tutto inesatto. Ci sono momenti in cui ho nostalgia dei tempi in cui i cellulari non erano ancora diffusi. Oggi mi è difficile immaginare di uscire di casa senza il mio telefono, soprattutto quando ho in programma di incontrare qualcuno. Tuttavia, durante la mia infanzia, quando i cellulari non erano ancora diffusi, le persone si riunivano semplicemente nel luogo concordato e arrivavano puntuali.
In tutti i romanzi ci sono degli elementi comuni. Cominciamo con il primo: il protagonista principale è sempre un maschio. Ragazzo o uomo, è sempre lui che si trova alle prese con la sparizione di una figura femminile. È interessante questo cambio di prospettiva, sembra quasi una sfida. È uno stimolo alla tua creatività?
C: Anche se è vero che Il mondo perfetto di Miwako Sumida aveva un narratore maschio, Ryusei, è importante notare che era solo una delle tre voci narranti della storia. Quindi, non direi che uso sempre un narratore maschio. Tuttavia, ho notato che sono spesso ricorsa a voci narranti maschili dopo la pubblicazione di Rainbirds, poiché molti intervistatori lo hanno rilevato e me ne hanno chiesto. Mi sono resa conto che la mia decisione riguardo al punto di vista non era una scelta deliberata, ma piuttosto ciò che ritenevo appropriato per il tipo di storia che volevo comunicare/ raccontare.
C’è spesso un orfano ma soprattutto un forte legame fra un fratello e una sorella più grande. Succede ne Il mondo perfetto di Miwako Sumida e in Rainbirds, mentre in Watersong – il tuo ultimo romanzo sempre pubblicato da Carbonio e sempre tradotto da Viola Di Grado –, la sorella più grande è rappresentata dall’amica libraia Eri. Si percepisce che dai un grande valore ai rapporti tra fratelli.
C: Ricordo che da bambina avevo detto a mia madre che avrei desiderato una sorella più grande, nonostante io fossi la maggiore. Le persone sono spesso sorprese quando scoprono che sono la primogenita, poiché il mio comportamento a volte può sembrare più giovanile. Quando si tratta di maturità, non sono in grado di confrontarmi con Keiko, Fumi-nee o Eri. La forte relazione di fraternità che li unisce rappresenta quel legame ideale che avrei sempre desiderato per me.
Il protagonista è sempre portato a scoprire il lato oscuro della persona che amava, ma spesso è un’indagine che lo porta a conoscere sé stesso. Secondo te, quanto è opportuno conoscere in profondità una persona? È meglio non sbucciare troppo la cipolla, come dice Yoko a Shoji? O come gli dice Liyun: “L’ignoranza è una benedizione”.
C: La domanda su quanto bene dovremmo conoscere una persona non ha una risposta definitiva giusta o sbagliata. Tuttavia, quando ci rendiamo conto che qualcuno che amiamo non è la persona che credevamo fosse, e sperimentiamo la disillusione, diventa essenziale riflettere sulle basi del nostro legame. Ciò può portarci a meditare sui princìpi che ci stanno più a cuore. Attraverso questo percorso introspettivo, possiamo scoprire aspetti di noi stessi che prima ci erano sconosciuti. Man mano che maturiamo, sviluppiamo una comprensione più profonda del nostro vero io, dei nostri valori e dei limiti che ci poniamo.
Ho notato che nei tuoi romanzi c’è sempre un forte invito a lasciare andare il passato, non solo gli eventi ma anche le anime delle persone. Qual è l’ispirazione dietro questa tematica e come credi che lasciar andare il passato possa influire sulla vita dei tuoi personaggi e di noi stessi?
C: L’ispirazione dietro il tema ricorrente del lasciar andare deriva dal credere nella crescita e nella trasformazione dell’individuo. Pur essendo mascherati da misteri letterari, i miei sono essenzialmente romanzi di formazione. Toccano i temi del dolore, del lasciar andare, del rimpianto, della perdita e della solitudine, intrecciando al contempo fili d’amore, di speranza e di perdono. Lasciare andare il passato gioca un ruolo fondamentale nella vita dei personaggi, creando spazio per la guarigione, la scoperta di sé e la propria evoluzione.
Ti resta mai il dubbio che qualche personaggio avrebbe meritato più spazio? È per questo che alcuni compaiono anche in altri romanzi?
C: Durante il processo di scrittura, incontro spesso personaggi le cui storie sono incredibilmente ansiosa di raccontare. Tuttavia, a causa dei vincoli di spazio all’interno di un singolo romanzo, diventa necessario toglierli e attribuirgli una narrazione autonoma. Una volta mi sono imbattuta in un detto che mi ha colpito: "Non esiste un personaggio secondario". Ogni personaggio possiede il potenziale per essere un protagonista nel proprio romanzo.
In Watersong Mizuki dice a Shoji: “Il talento è solo fatica e fiducia in sé stessi”. Ti ritrovi in questa affermazione?
C: Credo che per raggiungere il successo sia necessario impegnarsi al massimo e cercare di raggiungere il proprio potenziale. Tuttavia, ci sono diversi percorsi per raggiungere questo traguardo. Per alcuni individui, può comportare il 70% di talento e il 30% di duro lavoro, mentre per altri può essere il 70% di duro lavoro e il 30% di talento. È interessante notare che entrambi gli approcci possono produrre uguali livelli di successo. Un fattore spesso trascurato in questa equazione è la fortuna, che tende a favorire coloro che perseverano con una dedizione incrollabile e uno sforzo incessante.
Una frase che ho sottolineato in Rainbirds è:
“Ricorda, Ren, la tristezza non può far male a nessuno. È quello che fai quando sei triste che può ferire te e chi ti circonda” disse Keiko.
È interessante. Poco o tanto tutti affrontiamo momenti di tristezza. Qual è il tuo modo per combatterla?
C: Affronto la tristezza in modi diversi: parlando con un amico fidato o con uno specialista, facendo lunghe passeggiate, ascoltando musica, facendo docce calde e scrivendo. La scrittura, in particolare, si è rivelata un metodo eccellente per elaborare e superare il lutto.
Come dice Ren, “Si può imparare molto su una persona guardando la sua camera da letto. Porta la firma di chi la occupa”.
E quindi siamo curiosi: come è la tua camera da letto?
C: Per quanto riguarda l’arredamento della camera da letto, tendo a prediligere i tessuti in una palette neutra e a incorporare accenti in legno. Inoltre, mi piace aggiungere piccoli tocchi che portino con sé un racconto personale. Per esempio, sul mio comodino ho una statuetta di un gatto fortunato che ho comprato in un caratteristico caffè a tema felino in cui mi sono imbattuta mentre esploravo Yanaka, un affascinante quartiere di Tokyo.
Ai lettori piace sapere un po’ di più delle abitudini di scrittura dei propri autori preferiti. Quali sono i tuoi riti di scrittura, se ne hai? Come scrivi (a penna, al computer)? Prediligi qualche luogo e orario? Hai gesti scaramantici? Ti prepari una scaletta o preferisci lasciarti sorprendere dai tuoi personaggi?
C: Le mie abitudini di scrittura sono cambiate di pari passo con le diverse fasi della mia vita. Quando ho iniziato a scrivere seriamente, scrivevo ogni giorno, anche a Natale. Ma dopo la pubblicazione del mio primo libro, ho voluto trovare un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata. Ho deciso di limitare la scrittura ai soli giorni feriali. Dopo aver completato tre libri, ho sentito il bisogno di prendermi una breve pausa, quindi da quando è uscito Watersong non seguo più un programma rigido.
Per quanto riguarda il mio spazio di lavoro, sono piuttosto flessibile. Posso scrivere ovunque, a casa, nei caffè, nelle biblioteche o negli spazi di co-working, purché abbia con me il mio fidato MacBook Air. Di solito mi siedo e inizio a scrivere. Non sono una persona che pianifica molto. Spesso ho un’idea chiara di come inizia la storia, di come finirà e di alcune scene chiave che voglio includere. Ma tutto il resto mi viene in mente mentre scrivo. Lascio che le parole fluiscano e spero che alla fine si trasformino in qualcosa. Credo nella fiducia nei miei personaggi e nel lasciare che mi portino in luoghi inaspettati.
Infine, avremo un altro romanzo ambientato ad Akakawa? Ma soprattutto, tornerà a essere una città tranquilla con i treni in orario e poco affollati o sarà teatro di qualche altro omicidio? E tu, in una città così ti piacerebbe vivere o preferisci l’immensa e vibrante Tokio?
C: Dato che molti dei miei romanzi hanno un’ambientazione simile, è probabile che Akakawa faccia di nuovo la sua comparsa, come sfondo o addirittura come luogo centrale.
Ho sempre sperato di potermi ritirare un giorno in Giappone. Essendo fondamentalmente una persona introversa sono sempre stata attratta dal fascino quieto delle sonnolente città di provincia. Tuttavia, avendo trascorso la maggior parte della mia vita in vivaci aree metropolitane, mi sono abituata alle comodità offerte dalle grandi città. Fortunatamente, l’estensione del territorio giapponese, in particolare rispetto alla mia attuale residenza a Singapore, unita all’eccezionale sistema di trasporto pubblico, fa sì che anche se si vive in una città più piccola, l’accesso alla grande città non dovrebbe rappresentare un’impresa troppo difficile.
Grazie Clarissa per essere stata con noi
C: Grazie a voi per avermi ospitato ☺
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