Tre anni di attività (dal 1978 al 1980), due album (Unknow Pleasure e Closer), 43 canzoni incise e un solo vero successo commerciale (Love Will Tear Us Apart).
Ecco in cifre la carriera dei Joy Division, ma se è vero che i numeri non mentono è altrettanto vero che non raccontano tutto; anzi in questo caso non dicono assolutamente niente.
Ian Curtis, Peter Hook, Bernard Sumner e Stephen Morris non erano dei musicisti fenomenali dalla tecnica impeccabile ma sono stati dei grandi innovatori.
Con la loro musica sono stati il ponte che ha permesso alle ceneri del punk di raggiungere una nuova identità, dando vita a quella scena musicale da tutti conosciuta come new-wave.
Alla luce di quanto scritto verrebbe da pensare che i Joy Divison siano ricordati per il ruolo di capostipite, per aver contribuito in maniera determinante alla nascita di una scena musicale i cui echi riecheggiano ancora oggi nelle discografie di decine di artisti. Ma questa spiegazione, per quanto veritiera, non basta a spiegare un fenomeno che continua a vivere nonostante il tempo che passa, nonostante la totale mancanza di qualsivoglia connotazione commerciale della loro musica.
Allora cosa spinge persone che non hanno vissuto in prima persona la carriera di questa band (come il sottoscritto d’altro canto) ad amare la loro musica, le loro canzoni prive di motivetti orecchiabili, il sound claustrofobico carico di angoscia?
Se penso al fiume di parole che è stato scritto su questo gruppo mi viene da sorridere, perché troppo spesso la spiegazione che viene data alle mie domande è fin troppo semplicistica. Tutto viene ricondotto alla tragica scomparsa di Ian Curtis, morto suicida il 18 Maggio 1980 nella sua casa di Macclesfield, che lo trasforma da perfetto antieroe in icona capace di attraversare le generazioni.
Ma non è così, ve lo posso assicurare perché io sono una delle tante persone che amano questa band in maniera viscerale, quasi irrazionale, ed il motivo è tanto semplice quanto difficile da ammettere: ascoltare i Joy Division vuol dire fare i conti con i propri tormenti, affrontare il proprio dolore e scenderci a patti.
In maniera cruda e brutale Curtis & Co. sono riusciti a racchiudere nelle loro canzoni la propria sofferenza e la propria rabbia, rendendole universali, creando una sorta di metalinguaggio dell’anima in cui tutti si possono riconoscere. E quando scopri che qualcuno ha tramutato un dolore simile al tuo in arte splendida e struggente, ti senti meno solo. Quando quelle, maledette, 43 canzoni ti trovano, è come liberarsi di un peso perché, finalmente, puoi condividere con qualcuno.
Vi assicuro che non è facile da ammettere, perché è una verità che fa male ma è LA VERITÀ.
Ecco perché questa band continuerà ad avere sempre nuovi fan, ad ispirare nuovi artisti resistendo alle mode e al tempo che passa; perché dal dolore può nascere qualcosa di splendido, perché ci sarà sempre qualcuno fatto a pezzi dall’amore.
© Luca Cameli