Un gufo interrompe il concerto del silenzio per poi tacere immediatamente dopo.
Da qualche parte fra i cespugli la luce della luna si riflette negli occhi opalescenti di un felino selvatico. È un guizzo che dura un attimo. Ma gli uni in fila agli altri, gli attimi formano una catena di tempo infinito.
E in quell’infinità ricordo di averlo dimenticato.
Padre…
Non so neanche più bene come faccia.
Padre nostro.
Anche suo? Che mi tiene la mano sulla bocca, che mi ansima nelle orecchie?
Dove sei? Perchè rimani nei cieli? Non vedi che ho bisogno di te?
Mi piacerebbe incontrarti una volta, per caso. Ti riconoscerei? Vorrei chiederti il tuo santo nome. Non è di sicuro Pietro. Su questa pietra…
Mi ha schiaffeggiata, spinta, violata.
Su una pietra.
Fra le pietre.
Nel tuo regno.
Come la più rivoltante delle bestie ho strisciato e vi ho implorati.
È questa la tua volontà? La sofferenza, le lacrime e il dolore? Il vuoto di cui mi sento riempire tanto più a fondo lui si spinge?
Se in cielo sarà come qua in terra in mezzo alla polvere allora non voglio venire a te. Un’eternità intera a chiedere perché proprio a me, dove ho sbagliato.
Avrai il coraggio di aprire bocca?
Parlare più forte del monologo di gemiti?
Di guardare nei miei occhi arrossati da lacrime gravide di vergogna e darmi una spiegazione?
Non voglio più il pane quotidiano. Non voglio niente. Solo che finisca. Chiedo tanto?
Rimetti a noi i nostri debiti.
Anzi, non a noi. Rimettili a me. Se per una volta, aver voluto fare bene, aver risposto ai suoi messaggi, riso alle sue battute, lasciato che pagasse il conto della cena, accettato di fare una passeggiata in questa serata di maggio, rifiutato di andare oltre ad un bacio al primo appuntamento è peccato, allora perdonami. Perdona Me.
Ma come io non posso e mai potrò rimettere il mio debitore e violatore, allora ti prego, non farlo neanche tu.
Questo silenzio vale come un sì?
Come finisce? C’è una parte sulla tentazione.
Ecco, ora ho capito. Forse l’ho indotto in tentazione. Avrei dovuto ignorare le notifiche del telefono, dimostrarmi fredda e andarmene senza ringraziare. È colpa mia? È così?
Non so più nulla, ma liberami da questo male che mi lacera le pareti dell’anima.
Poi un fruscio come di passi fra le foglie.
Tutto è immobile, anche lui dentro di me.
Ha paura. Qualcosa ci accomuna finalmente.
Si alza e inizia a correre armeggiando con jeans e cintura, cade goffamente prima di venire inghiottito dalla stessa oscurità che mi si spalanca in mezzo e dentro.
Padre...
Amen.
© Marco Patrito
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