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Non ho fatto cena.
Nella sacca di tela ho due panini preparati con la forza che il ritardo accumulato mi ha infuso. Il frigo piange, lo stomaco brontola, A. borbotta e impreca attraverso WhatsApp chiedendo che fine io abbia fatto. Temiamo tutt’e due il peggio: file chilometriche, stuoli di fan travestiti da supereroi, sacchetti di caramelle gommose terminati. Solo che lui è la formica e io la cicala, lui ha prenotato i biglietti e ha proposto di recarsi sul luogo mezz’ora in anticipo mentre io 3 minuti prima dell’appuntamento sto decidendo se mettere le calze ad altezza caviglia o i fantasmini.
Lego la bici, entro nel cinema e scopro di essere comunque arrivato prima di A.
Non riesco a godermi quel briciolo di soddisfazione colpevole che A. arriva e paga anche lui il suo biglietto. Quei 35 secondi di vantaggio sono troppo pochi per poterglieli rinfacciare. Ci mettiamo in testa alla sparuta coda, in attesa che l’uomo di mezza età all’ingresso delle sale ci faccia entrare. Il suo sguardo si perde verso orizzonti insondabili, in fondo agli occhi brilla la quieta consapevolezza dell’uomo che ha compreso le grandi responsabilità legate al proprio ruolo. Insomma, controlla sul monitor sopra le casse che la gente esca dalla sala.
Siamo ad un punto di svolta. Le persone iniziano a sedimentarsi nella nostra zona come sabbia sul fondo di una clessidra. Poi dalle scale del primo piano giunge la fiumana di spettatori dello spettacolo precedente: ecco dov’erano i nerd duri e puri. Ci scambiamo cenni cordiali di complicità, ma al tempo stesso bado a non captare brandelli compromettenti di trama. Così com’è arrivata, la corrente di portatori sani di spoiler se ne va. Non appena ho terminato di postare una storia su Instagram con la speranza di fare il simpatico, comincia la ressa per gli occhialini 3D e la corsa su per i gradini a caccia dei posti migliori.
Io e A. non abbiamo sempre le stesse opinioni, anzi, spesso ci troviamo fortemente in disaccordo un po' come Iron Man e Cap. America in Civil War (breve ripassino in ottica Infinity War) ma su una cosa siamo d’accordo: che De Coubertin era un paraculo immenso. A nessuno frega una mazza di partecipare. Vogliamo vincere, sbaragliare la concorrenza, ovvero guardare gli Avengers in quelli che a nostro giudizio sono i posti migliori, individuati dopo un’attenta riflessione.
Ce li accaparriamo. Le luci si spengono, ma non prima che gli ultimi gruppetti di ritardatari siano entrati in sala. Loro sono condannati a guardare il film con le gambe in bocca, appiccicati allo schermo. Si comincia.
E dopo due ore e mezza, compreso un breve intervallo, è tutto finito.
La scena post-credit fa la staffetta con una frase sibillina e noi sopravvissuti agli eterni titoli di coda (“però è grazie a loro se abbiamo visto ‘sto film” dice saggiamente un ragazzino con un accenno di barba qualche fila più avanti) ci alziamo all’unisono. Ma il film, direte voi?
Eh, il film è qualcosa a cui non ero pronto.
La cosa che più mi ha colpito è che Avengers: Infinity war non è stato in alcun modo danneggiato dalla mole di materiale promozionale, tra cui interviste, teaser, trailer, che ha preceduto la sua uscita al cinema. Quella nebulosa di informazioni che avevano il compito di stimolare il mio portafoglio ad aprirsi senza troppe storie, ha creato delle aspettative che sono state disattese.
Pronti, via e dopo 10 minuti sono già interdetto. I personaggi delle fasi uno, due e tre del Marvel Cinematic Universe appaiono e scompaiono, interagiscono e si mescolano, come tanti fili disordinati in balia di un evento epocale: la fine dell’universo (poteva essere solo questo o la domenica pomeriggio all’Ikea a scegliere i mobili del nuovo quartier generale). Si ha l’impressione che sia tutto un po' confuso: non si fanno in tempo ad apprezzare le nuove sinergie che subito si viene sballottati in un arco narrativo parallelo. Gli eroi vivacchiano e fanno a cazzotti un po' a margine per tutto il film, mentre la trama si modella sui contorni di una figura che abbiamo sempre intravisto e mai conosciuta: Thanos. Inutile girarci tanto attorno: Infinity war è il film dedicato a Thanos, l’occasione per esplorare l’origine della sua ambizione facendo un tuffo in profondità dentro ad un personaggio che è tutto meno che una macchietta malvagia.
La ventata di aria fresca portata dall’ironia di Spiderman e dalle gag dei Guardiani della galassia aiuta in parte a non accorgersi che ciò a cui stiamo assistendo non è l’inizio di una festa, ma di un funerale.
Gli eroi di cellulosa e pixel sono morti, lunga vita agli eroi.
Quelle due ore e mezza sono il fronte di una lettera di commiato. Dopo 10 anni, è il momento di tirare le somme. Di cattivoni ne sono passati, di cose ne sono successe, di eroi ne sono nati, eppure siamo qui, a guardarci negli occhi ed entrambi sappiamo, noi pubblico e la Marvel, che qualcosa è successo, non c’è più la stessa chimica di un tempo.
Ma se prima l’abbiamo solo insinuato con qualche battutina acida in presenza di amici, stasera ce lo siamo detti ad alta voce, lanciando anche qualche piatto.
Manca il retro di questa lettera, che uscirà soltanto il maggio dell’anno prossimo. Per ora sappiamo soltanto che ci sono dei problemi. Usciamo dal cinema e ringrazio A. della compagnia. Non ci scambiamo opinioni né pareri, a parte qualche strascicato “figo però eh” prima di separarci. Sappiamo che stasera si è incrinato qualcosa con la Marvel, sappiamo che dovremo prendere dei provvedimenti. L’idea è quella di andare da un terapista, uno di quelli bravi. Fortuna che ha posto a breve.
L’appuntamento è il 16 maggio con il dottor Deadpool.
© Marco Patrito