(c) grafiche di Martina Masotti - illustrazione di Letizia Rubegni
Quale gioia e serenità pervadono gli occhi alla vista del tradizionale monumento al Natale.
Il cibo.
Tramite un torreggiante panettone, al centro dell’apposito piatto da portata riesumato per l’occasione, si continuano a tramandare e intrecciare posate e drammi familiari. Muto spettatore, bruno e aromatico, aspetta il prelievo della prima fetta per dispiegare il suo sorriso verticale giallo di tuorli.
Ma non tutti sono consapevoli del pericolo annidato al suo interno. Non tutti sono preparati. Io di certo non lo ero.
Molti ignorano la faccenda, declinano responsabilità, fingono di non averne mai saputo nulla, di non aver avuto scelta. Complici passivi della diffusione incontrastata del nemico atavico. Eppure, è legittimo chiedere, come si può ignorare questa brulicante minaccia? Ebbene, molti affermano di apprezzarla. A tal punto il nemico ha esteso la sua influenza. La sua forza è nella moltitudine dei suoi gregari. Sembra che alcuni li mangino davvero. La nemesi di ogni tavolata natalizia. I canditi.
Serrati nei loro alveoli di impasto, a complottare contro i nostri palati indifesi. Arcigni e difficili da debellare se ne stanno lì, apparentemente innocui, apparentemente facili da aggirare. Se non fosse che ce n’è sempre uno al cedro in agguato tre millimetri dietro la parete lievitata da cui si è appena estratto quello all’arancia. Pronti ad assalire i denti con la loro stucchevole consistenza traditrice e gommosa. Un’infanzia costellata da conflitti natalizi e guerriglie interminabili con i panettoni asserviti, alveari ricolmi di scorzette zuccherose.
Impavidi resistono all’invasione i pandori, ultimo baluardo dei palati civilizzati. Montagne a forma di stella, svettanti di burro e zucchero a velo, compatti e integri, senza anfratti in cui fornire riparo e base operativa a drappelli di canditi.
L’inizio del conflitto si decide nei supermercati, nelle pasticcerie, nei laboratori artigianali, sulle tavole imbandite. Si affrontano fette monolitiche candide e intonse contro impasti forellati carichi di leziosi proiettili multicolore. La battaglia non lascia prigionieri, solo una quantità esorbitante di briciole. E nel caso tremendo in cui si avesse dovuto far fronte al temibile panettone senza lo scudo di un pandoro alleato allora sì. Ci saranno anche canditi periti sparsi sul tavolo e accumulati in lucidi mucchietti nei tovaglioli. Ma, malgrado la perizia negli scavi, qualche candito riuscirà comunque a portare a termine l’offensiva, aggrappandosi alla fetta-traghetto con unghie e denti, per raggiungere il malcapitato cavo orale.
All’alba però lo scenario cambierà, fedele ogni anno. L’epica battaglia è conclusa e le sue tracce sono state mitigate e ripulite. Forse qualche mucchietto di canditi è stato aggiunto nel piatto dei biscotti per Babbo Natale. Dovesse apprezzarli. O magari una delle sue renne in calo di zuccheri.
Pandori e panettoni superstiti resistono ancora, aspettando la colazione. Nella luce sonnolenta e dopo la notte di burrascose digestioni e coma letargici post cenone si tirano le somme. Si riportano sul tavolo gli avanzi più dolci. Si tagliano le fette con meno frenesia e si scava dove necessario con tutta la concentrazione possibile di occhi ancora semichiusi.
Si pareggiano pandori e panettoni asimmetrici, si danno seconde opportunità. E i canditi scavati via pian piano possono tornare ad accumularsi sul tovagliolo, senza fretta e belligeranza stavolta. Li mangeranno mamma e papà.
© Ombretta Blasucci
© illustrazione di Letizia Rubegni