Ogni giorno, truccandomi davanti a questo specchio, vedo la parte migliore del mondo.
Divento puro, più puro di te, di chiunque altro, forse più puro persino di me. Sono perfetto, candido e vuoto: mi dipingo così ma non è una maschera, non c'è nulla di artefatto, è il resto che è finzione. Vado in scena e posso dire quello che mi passa per la testa, posso scegliere di mentire o dire la verità.
Ah, se solo sapessi che ebbrezza, che forza, che emozione, quando nel tendone cala in silenzio il buio e faccio il mio ingresso: tutti gli occhi allora sono su di me, tutte le bocche un po' attonite, in attesa; li tengo in pugno, uno ad uno e loro nemmeno se ne rendono conto: stanno lì a sorridere, anche quando non capiscono, perché loro non capiscono niente ma li faccio sentire importanti; sono lì a giudicarmi e pensano che abbia paura di deluderli, di non piacere: mi vedono al centro del palco e mi credono debole, sciocchi, perché sono in tanti ed io uno solo.
Ma in quel buio io so muovermi e loro sono ciechi, come il predatore notturno e la preda che, prima di essere catturata, ignora di essere in pericolo. Li colgo alla sprovvista e li stano, proprio quando credono di essere al sicuro, li sorprendo vulnerabili, colgo le loro insicurezze, mi beffo del loro imbarazzo, dileggio i vizi, li mostro al mondo e nonostante le loro guance avvampino per la vergogna, ridono.
Ma per arrivare a questo occorre strategia; anticipando i tempi si rovina la suspense. Anche lo spettacolo più strabiliante può rivelarsi un autentico fiasco se solo si ritarda di un secondo l'azione, come un fuoco d'artificio che sai carico di polveri ma che poi non parte nemmeno.
Se tu conoscessi il tuo futuro, avresti lo stesso interesse a svegliarti ogni mattina? Non credo: è proprio il senso di ignoto a spingerci oltre; anche quando guardi lo stesso film ti aspetti qualcosa di diverso, non nelle immagini, ma in te stesso.
È per quello che, ogni volta, entro in scena e seguo lo stesso copione: lo spettacolo non sta nelle battute, lo spettacolo sta in quegli attimi di silenzio in cui nessuno sa cosa stia per accadere.
Ma io ordino e gli altri eseguono, lì sta la differenza: io controllo e loro no. A volte i più scaltri sorridono a disagio, ma sorridono lo stesso alle mie battute, anche se hanno capito che li disprezzo, non possono trattenersi.
È così che funziona: arriva il momento il cui la preda si arrende al predatore perché deve rendergli atto della sua superiorità. È un momento carico di grande drammaticità, di senso scenico, di pathos, non trovi? Lo hai mai osservato in natura? Hai idea di quanta intensità si concentri in quell'attimo, quando la vittima accetta di non avere scampo, quando si immola, si lascia andare, si abbandona al carnefice? È un momento divino, meraviglioso, è quello che ogni volta sul palco sogno di afferrare tra gli sguardi della gente. È bellezza tragica, armonia, perfezione.
Tu ami la bellezza? No, non la ami, e sai perché? Perché non la puoi comprendere, non ne hai gli strumenti. Tu non vedi l'incanto nell'orrore, non vedi la purezza nella sofferenza. Credi sia tutto casuale, immerso nella confusione, credi sia stato il fato a condurti qui. Ma ti sbagli: è frutto di un disegno perfetto.
È naturale: la guerra, la caccia, gli amplessi, i delitti sono un continuo rappresentare la morte per ottenere la vita. Quando ti ucciderò, tra poco, tu farai parte di me, il tuo sacrificio mi darà nuova forza, esattamente come i colori della tavolozza si fondono in uno.
Tu sei il caos, io l'ordine; tu sei l'ignoranza, io l'arte; tu sei la vittima ed io il carnefice. Tu sei l'Augusto.
Io sono il Bianco.
© Erika Casciello
© illustrazione di Benedetta Pia Sica