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Io a Enrico Brizzi voglio bene.
Gliene voglio come se lo conoscessi da una vita quando, invece ahimè, non l'ho mai conosciuto. E allora perché, direte voi, arguti lettori?
Ok, facciamo così.
Immaginate di essere adolescenti e di frequentare i soliti posti che si frequentano da adolescenti. Quelli in cui il bancone del bar è sempre posizionato in mezzo, tra la zona dei cessi e la sala dove si balla o si poga.
Quei posti buoni per tirar tardi; per "secondo me ci sta, ora le ballo vicino e vedrai" e poi niente, non c'è mica stata; per pisciare in compagnia, fuori, ché il bagno è occupato da quello che sta sboccando;
... quei posti che, anche se sei troppo sbronzo o, forse proprio perché sei troppo sbronzo, ti mostrano i sogni e ti fanno pensare.
Ecco è lì che puoi trovare certi elementi: alcuni al bancone del bar, altri in pista, altri nell'angolo per "intomellare" una, qualcuno a rollarsi una canna, qualcun'altro invece che non parla mai ma urla più di Zack dei Rage Against the Machine. E sai che son sempre loro. Magari presto o tardi li conoscerai pure, saprai il nome (oltre al soprannome che ormai l'ha sostituito).
Brizzi è uno di questi, anche se, come detto in apertura, non l'hai mai visto.
Eppure trovi i suoi personaggi in ognuna di questi figuri. E sai che, per scriverli così bene, un bel giro in quei posti sicuramente se l'è fatto.
"Tu che sei di me la miglior parte" è il Brizzi nuovo, quello che prende il Brizzi di "Jack Frusciante è uscito dal gruppo" e gli racconta una storia.
Una storia che conosce già, ma che si è tenuto dentro.
Tommy è uno dei ragazzi di Bologna. Uno di quelli che s'è fatto gli anni '80 e '90 tutti in una tirata dritta. Di quelle che ti formano, di quelle che, se ne esci vivo, allora sei un uomo.
La sua storia è la storia dei suoi amici, di quelli migliori e anche (soprattutto) dei peggiori. È la storia dei suoi amori, delle sue passioni e delle perdizioni. E non è detto che tutte queste cose siano indipendenti una dall'altra.
Anzi.
È, soprattutto, una storia dai contorni larghi. Tanto larghi da prenderci dentro tutta Bologna.
Con un amico ho buttato lì un commento a caldo: "Tu che sei di me la miglior parte è il This is England di Bologna... Ecco, Brizzi ha fatto This is Bologna".
E lui: "Scomodo paragone un po' importante".
Ma è così.
L'ultimo romanzo di Brizzi non è solo una storia, è uno spaccato storico. È una cronaca ben mescolata alle vicende di Tommy.
In più c'è un particolare...
Jack Frusciante è uscito dal gruppo.
Alex.
Aidi.
Martino.
Chi li ha amati, chi li ha letti o visti, chi li ha vissuti avrà una sorpresa, di quelle belle.
Perché certi personaggi non ti abbandonano mai, anche se lo vorresti. E poi, diciamocelo... Bologna è una città piccola.
Brizzi si supera. Utilizza una scrittura sì ricercata, forse poco adatta in bocca o nella testa di un ragazzino, ma bella e mai troppo saccente.
È lo specchio di Alex: dove questo riversava la rabbia o la dolcezza in concetti semplici e infarciti da uno slang da "regaz", Tommy sembra parlare come se fosse il se stesso più vecchio che si ricorda da lontano.
Un romanzo che scivola via, lasciando un retrogusto amaro e assetato di "dammene ancora, ti prego".
Se proprio dovessi trovare un difetto, potrei dire che finisce troppo presto ma, ok, parliamo di oltre 500 pagine... quindi capite bene che è una stronzata tutta mia (dammene ancora, ti prego).
Mi sono trattenuto, lo ammetto. Non ho parlato di Ester, di Raul, degli Ultras del Bologna, dei sogni di Tommy e delle traversate in bicicletta che vanno dai concerti al Parco Nord fin su, sui colli.
Ma l'ho fatto per voi.
Perché "Tu che sei di me la miglior parte" è un libro da leggere.
Anzi.
Da vivere.
Perché è vita, di quella difficile, di quella che ti prende a pugni.
Ma, in fondo... di quella vera.
Tu che sei di me la miglior parte | Enrico Brizzi
Copertina rigida: 543 pagine
Editore: Mondadori (29 maggio 2018)
Collana: Scrittori italiani e stranieri
Lingua: Italiano
© Alen Grana