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L’incantevole parabola di un gigante puro in un mondo senza più eroi
di Chiara Bianchi
Recentemente mi è capitato di sfogliare dei manuali di letteratura italiana di alcuni anni fa, diciamo una trentina, e di dar conferma alla mia già salda consapevolezza che molto di quello che poi ho amato della letteratura non proviene dalla formazione scolastica. E ho iniziato a pensare a qual è stato il momento della vita in cui ho incontrato la scrittura portentosa di Giovanni Arpino – probabilmente era stato un consiglio del mio amato bibliotecario del paesello, oppure di qualche fortunato recupero da una bancarella di libri usati, chissà, certo è che non si spiega il neppure accennato nome sulle antologie scolastiche (almeno su quelle di un tempo).
Giovanni Arpino è stato un poliedrico umano che ha fatto delle parole la sua vita, seppur con una carriera letteraria accidentata e spesso ostracizzata da alcune élites culturali, ha persino vinto uno Strega con L’ombra delle colline e precedentemente sfiorato per un solo voto di differenza con La Capria ai tempi de La suora giovane. Uno di quegli umani scomodi, fuori dagli schemi, imperscrutabile, difficile da collocare negli amati incasellamenti letterari a cui il Novecento ci ha abituati. Apprezzato da Elio Vittorini per la sua opera d’esordio dal titolo Sei stato felice, Giovanni (1952) ristampato in tempi recentissimi da Minimum Fax che si sta occupando di Arpino e della divulgazione delle sue opere.
Randagio è l’eroe – ultimo titolo che la casa editrice romana ci ripropone con una postfazione firmata da Remo Rapino – è un romanzo breve di amore e di amicizia, in cui prendono vita tre personaggi: Giuan, Olona e Frank, emarginati, diversi, contestatori e oppositori dell’ordine. Essi si muovono in una Milano periferica, spesso in bici e di notte, portatori di messaggi carichi di ironia, dissimulatori di odio e dimensionati all’amore, alla fede nell’uomo. Giuan dipinge Cenacoli, su modello leonardiano, convinto che Filippo sia il vero traditore, quello con l’aria da agnello innocente. Giuan odia gli indolenti, conosce la Bibbia e la Divina Commedia a memoria e, spesso, in un gioco amoroso con la sua Olona, traduce il suo sentire in citazioni. Per Giuan l’amore è scomparso ed è per questo che decide di offrirsi al vagabondaggio e all’isolamento. Egli pensa che il mondo ha paura di essere eroico, e vuol porvi rimedio pur sapendo che non c’è.
Sono gli anni Settanta del Novecento quando questo romanzo vede la luce. Arpino, in quegli anni, scriverà rocambolesche storie che vedranno protagonisti immergersi nella melma della modernità, personaggi allucinati catturati dalla mostruosità del presente, anarchici fino al midollo, umane vite in pena eppure pronte al superamento del razionale. Emarginati e grotteschi. Così come il nostro Giuan che dichiara senza mezze misure che «la vita o è stile o è errore».
Una prosa lirica, eppure vicina al parlato, e più il mistero si infittisce più la prosa si fa evocativa, leggera, epigrafica. E si frantumano le parole, i pensieri e persino i silenzi. E in Olona, nel suo sentire c’è la grandezza dell’amore per Giuan, perché lei «avrebbe regalato tre litri di sangue per inventare la parola, ma unica, in grado di dirgli quanto sapeva di lui, loro due, mille frammenti di vita ammassati nella memoria, timide gioie e anche oscurità di fatti mai capiti, quel poco di bene più offerto che ricevuto, […]. La forza viva iniettata in ogni giorno per un campare che significasse qualcosa più in là del ventre e del sonno. E la fede nel riscatto che onestà pudore rispetto umani dovranno pur concedere. O dovrebbero, nel mistero che siamo.»
Cos’altro aggiungere?
ISBN: 978-88-3389-347-1
Pagine: 149
Pubblicazione: apr 2022
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