Marco Balzano - Quando tornerò (Einaudi)
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Il paese in cui vivo, il paese in cui sono nata, dà il nome ad una patologia psichiatrica che colpisce migliaia di donne migranti impiegate come badanti. “Mal d’Italia”, “Sindrome Italia”, negli ospedali dell’Est Europa chiamano così il burnout a cui sono soggette le donne isolate e sfruttate che chiamiamo a gestire malattie e situazioni complesse, private del sonno delle relazioni sociali e costrette a lasciare una famiglia di origine dove, se la situazione economica può migliorare grazie al duro lavoro di badante, ə minori rimangono espostə e feritə, come Marco Balzano ha imparato nel suo viaggio in Romania. Qui si è reso conto che la protagonista del suo romanzo non poteva essere solo Daniela, moglie di un marito nullafacente e madre ostinata che decide di andarsene incontro all’ignoto senza dare spiegazioni, perché sarebbe troppo difficile, diretta a Milano a guadagnare quei soldi da spedire in Romania, ma anche Angelica, sua figlia maggiore chiamata a diventare adulta dall’oggi al domani, e Manuel, il piccolo di casa, che da questo abbandono rimane spezzato. Sono loro le tre voci protagoniste di questa vicenda. Tre punti di vista apparentemente inconciliabili, rabbiosi e legittimi. Si sente spesso dire, qui in Italia, che le donne come Daniela pretendono di entrare a far parte della famiglia, che le donne come Daniela non capiscono che il loro è “soltanto un lavoro”. Leggete queste pagine. Non forniscono tutte le risposte, ma predispongono ad un doveroso ascolto, accompagnato dal silenzio.
Emma Cline - Daddy (Einaudi)
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Ritmi lenti e sospesi regolano questi racconti di Emma Cline, il cui straordinario esordio “Le ragazze” ha catturato l’attenzione di tutto il mondo, compresa la mia. È una parziale delusione, per me, questa raccolta, che si basa soprattutto sul sottinteso, lasciar intendere, che a volte funziona e a volte no. Per quanto mi riguarda questa volta no, o forse non in questo contenitore. Il titolo “Daddy” richiama all’inadeguatezza dei molti padri raccontati, alla delusione che accompagna ogni aspettativa impossibile, e si sa, le aspettative impossibili sono il fiore all’occhiello della divisa patriarcale. Per sottrarsi al loro fascino diviene necessaria una discreta dose di cinismo, altro protagonista di ogni racconto. Questi papà non hanno la coscienza pulita. Non vogliamo festeggiarci insieme il Natale, e con il loro successo economico abbiamo un rapporto complesso, perché se possono fornirci benessere ci spetta di diritto, anche se non è a loro che vorremmo somigliare. Anche se è di loro che abbiamo bisogno. “Daddy” è una raccolta di idee interessanti, potenti, tradotte in quello che per me è però stato spesso un mare di noia, intervallato da qualche scoglio di aguzzo trasporto (Marion, il mio raconto preferito). Possibile che sia un mio limite, un gusto personale, ma mi auguro che la straordinaria scrittura di Cline mitighi il sottinteso per tornare a sconvolgermi e ad appassionarmi con le immagini nitide e sfolgoranti che ho trovato nel racconto di una ragazzina abbandonata a se stessa, ospite della comune in cui vive la famiglia anticonvenzionale della sua amichetta Marion, che “sembrava fantastica, ma sembrava anche morta”.
Laura Imai Messina - Goro Goro - La pesca della stella, il viaggio di Daruma e altri racconti (Salani)
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Il rapporto tra le fiabe e le tradizioni è innegabile e risaputo. Quello che spesso non ci dicono, però, è che il potere della fiaba è davvero magico, è davvero infinito, e la tradizione la può rimodellare. O amplificare. Ci può anche giocare. La fiaba riporta segreti passati e sconosciuti alle nuove generazioni, segreti in cui inaspettatamente si riconoscono, perché l’eredità collettiva è potente. Ed è a quel punto che comincia la magia, perché con l’eredità collettiva possiamo avere un dialogo personale. Il dialogo che Laura Imai Messina ha messo in moto raccontando le tradizioni e le leggende antiche del Giappone ai suoi bambini, che diventiamo noi mentre leggiamo questo libro che sì, è dedicato a chi è più piccolə e sogna le stelle di Tanabata, ma chi l’ha detto che non ci si possa rimpicciolire ogni tanto? Le illustrazioni di Philip Giordano accompagnano questo viaggio tenero e avvincente che comincia con il bonzo Daruma che cade e si rialza tante volte, per proseguire con la volpe Ko-Kitsune-ne che dal timore di fallire conosce la bellezza dell’inaspettato, fino al prepotente demone del vento Fūjin che impara come la possessività uccida l’amore e l’attrazione. Viene voglia di accoccolarsi e di ascoltare, lasciarsi cullare per immaginare come fare del mondo un posto più accogliente, partendo dal passato che non smette mai di fare parte del presente. “In un angolo remoto delle terre di Yamato”, e in un angolo remoto del nostro cuore.
Giulia Caminito - L’acqua del lago non è mai dolce (Bompiani)
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“Quando mi azzardo a farle notare che le cose di tutti è come se non fossero di nessuno lei mi risponde: levati ora questa idea dalla testa o diventerai una donna cattiva.” Sento l’eco di Sapienza e di Ferrante. Sento l’eco di furiose intelligenze, di furiose giovinezze. La famiglia di Antonia è una famiglia povera, davvero. Per l’assegnamento dell’alloggio popolare Antonia espone sé stessa e il proprio corpo alla vergogna e alla pubblica riprovazione. Accetta sotterfugi, ingegna la mente. Non ha altra scelta, e soprattutto ha ragione. Ma non è Antonia la protagonista di un’adolescenza vissuta ai margini nei primi anni duemila, bensì sua figlia, seconda di quattro, unica femmina, lo sguardo silente, il più critico e rancoroso, soffocato a sobbollire. Rossa di capelli, l’unica somiglianza percepita con la madre, questa figlia che odia il suo nome, Gaia, viene sballottata di casa in casa fino al lago di Bracciano, dove la famiglia si stabilizza e la sua pubertà ha inizio. Non ha mai avuto amiche Gaia, ed è nei rapporti con le coetanee, scanditi dai ritmi del paesino, che il cuore della storia pulsa, e Caminito racconta, attraverso una prosa magnetica e suggestiva, la ferocia dell’età più ingiusta e più idealizzata. Quanto possono essere sacri dei gesti inutili? Perché Gaia, suo malgrado, ha dei desideri, degli ideali, che confliggono con la diffidenza instillatale e la consapevolezza di essere destinata alla lotta. Gaia è capace di cattiveria raffinatissima, di ripicche affilate, di atti vandalici e barbari, ma è anche una studentessa modello, perché Antonia non esige nulla di meno per la sua unica figlia.
Questa ragazza poetica e furibonda, così come la scrittura sublime che ne traccia i contorni, capace di convertire alla sottolineatura chi non vergherebbe di un solo sbaffo di biro le pagine di un libro, mi spaventa e mi è cara. Una ragazza che rifiuta l’elemosina, e becca come un cigno del lago.
Amélie Nothomb - Gli aerostati (Voland)
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Da abbonata fissa al romanzo annuale di Amélie Nothomb, che solitamente appare tra la fine dell’inverno e l’inizio di primavera, devo dire di aver trovato una delle mie autrici preferite un po’ fuori forma. Ange è una brillante studentessa di filologia, circondata da personaggi sopra le righe come la coinquilina con cui condivide l’appartamento, prepotente e ossessionata da una perentoria idea di ordine e igiene.
La sua quotidianità priva di affetti significativi viene sconvolta quando comincia a dare ripetizioni a Pie, un adolescente di appena tre anni più giovane che ama la matematica e detesta la letteratura, ritenendola inutile. Il padre di Pie sostiene che il figlio sia dislessico e propone ad Ange un accordo economico a dir poco vantaggioso affinché insegni a suo figlio a leggere in maniera soddisfacente. Tra Pie ed Ange si instaura un rapporto speciale ed il ragazzo, oltre a superare le sue difficoltà nella lettura in un sorprendente battibaleno, comincia a confidarsi e a raccontarle la propria vita, mentre il padre spia attraverso un vetro camuffato ogni loro incontro. Pie non sopporta la ricchezza vuota e la stupidità dei genitori, e si prende una cotta per Ange, che si considera molto più matura dei tre anni che la separano da Pie. Il finale si snoda in un macabro colpo di scena. La trama non è riuscita a convincermi del tutto e non sono entrata in sintonia con i personaggi, ma c’è una cosa, detta da Ange mentre affronta l’invadenza e l’ignoranza del padre di Pie, con cui sono assolutamente d’accordo: “tutto può avere a che fare con la letteratura”.
Pauline Harmange - Odio gli uomini (Garzanti)
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Avrete letto e sentito di tutto su questo pamphlet. Alcunə lo ritengono pericoloso, non è che adesso le femmine cominceranno a fare ai maschi ciò che i maschi hanno sempre fatto alle femmine? Aiuto! Altrə lo hanno liquidato come un rigurgito separatista second waver. Io credo, invece, che queste pagine tocchino un nervo scoperto nelle persone femministe di ieri, oggi, e domani. Il timore di sembrare troppo “estremiste”, il bisogno di non perdere l’appoggio degli uomini, quegli uomini che si ritengono “diversi dagli altri” per il solo fatto di praticare la più basilare decenza umana. Il timore di offendere questi uomini, che ci riteniamo fortunate ad avere nella nostra vita perché non ci stuprano e non ci chiamano puttana, ci schiaccia. Dobbiamo credere che siano diversi. Sotto sotto lo sappiamo che anche questi uomini che temiamo di urtare avrebbero qualcosa da mettere in discussione, lo sappiamo che spesso ci accontentiamo per non venire isolate. Ed è a causa di questa paura che smussiamo la nostra rabbia. Ma se sono davvero così diversi dagli altri, perché dovrebbero fuggire di fronte alla presa di coscienza che gli proponiamo? Perché dovrebbero rifiutarsi di aspirare alla decostruzione del sistema patriarcale insieme a noi, partendo da loro stessi, riconoscendo di far parte del gruppo oppressore dominante? È straziante questo bisogno che abbiamo, noi femministe e non, di dire che i “nostri” uomini sono diversi. Ed è un bisogno umano. Ma anche la rabbia e la diffidenza che proviamo sono umane, e sono legittime. Sono la rabbia e la diffidenza che chi subisce l’oppressione riserva a chi la agisce. Harmange semplicemente incoraggia, come molte altre prima di lei, a non rinnegare questi sentimenti.
A non temere di dire le cose come stanno. Perché se combattiamo insieme, sole non lo saremo mai. Dire questo, in parole semplici e in poche pagine come fa Harmange, non è provocatorio. Sono le basi.
Jessica Bruder - Nomadland - un racconto d’inchiesta (Clichy)
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Non vogliono farsi chiamare “senzatetto”, perché i loro camper, le loro roulotte, un tetto ce l’hanno. Non sono senza tetto. Sono senza casa. Sono di tutte le età, ma per la maggior parte sono persone anziane, travolte dall’implosione di un sistema economico al collasso in cui gli stipendi sono sempre più bassi e i costi abitativi sempre più alti. Persone che hanno dovuto cominciare a decidere se compare cibo e medicine o pagare la corrente elettrica e le rate del mutuo. E alla fine hanno deciso. Bye bye american dream, non sei mai esistito. La comunità nomade statunitense si sposta seguendo opportunità lavorative stagionali come il servizio host nei campeggi dei parchi nazionali, la raccolta di barbabietola da zucchero, o il terrificante Amazon CamperForce, impieghi duri che comportano logorio psicofisico e spesso gravi infortuni. Alcune di queste persone, potendo, tornerebbero indietro, ma molte altre no.
Spremute e tradite da un sistema fallimentare, hanno trovato nelle strade e nei deserti un senso di comunità e di libertà che non avevano mai sperimentato. Jessica Bruder ha vissuto in camper per conoscere e comprendere questa società su quattro ruote, accompagnamento Linda May, anziana e spumeggiante protagonista della sua inchiesta, in parte delle sue avventure. Linda non è tra chi tornerebbe indietro, ma il suo obiettivo è mettere abbastanza soldi da parte per comprare un terreno su cui costruire una earthship, una casa completamente ecosostenibile, e alla fine di queste pagine è pronta a cominciare i lavori. Non so se la earthship di Linda May vedrai mai la luce. Ma so che porterò la sua storia sempre con me. Nomadland è un libro che dovreste leggere.
© Giulia Gazzo
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