Le città di carta | Dominique Fortier

Le città di carta | Dominique Fortier

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«A cinque anni la piccola Emily Elizabeth va a trascorrere qualche giorno dalla zia a Boston. Lungo la strada la carrozza viene colta di sorpresa da un violento temporale. I fulmini lacerano il cielo nero, la pioggia colpisce i vetri come una scarica di sassolini. La zia stringe a sé la bambina per rassicurarla. Ma la piccola non ha paura. Affascinata, si sporge verso il vetro freddo, vi poggia la fronte e sussurra: “Fuoco”.»

Occhi rotondi, sguardo impenetrabile, spaventato?, sornione?, capelli lisci con la scriminatura centrale, labbra appena dischiuse, schiena dritta e mani posate in grembo, un lungo e pesante abito scuro: l’unica fotografia esistente di Emily Dickinson la ritrae così. Nella mente di tutti noi questa è l’unica espressione, l’unico atteggiamento che questa donna avrà mai. Credo che questa sia una delle argomentazioni che hanno portato Dominique Fortier a scrivere un libro che disvelasse la natura travolgente di una delle poetesse più importanti della storia. 

Le città di carta oltre ad essere uno splendido prodotto letterario è anche la nuova sfida della casa editrice romana Alter Ego, che proprio con questo titolo apre alla pubblicazione di autori stranieri contemporanei.

Non è facile parlare di questo testo, specialmente perché le emozioni provate durante la lettura continuano a rimanere in circolo per giorni, e il mondo che Fortier riesce a costruire attorno alle pochissime informazioni che si hanno su Emily Dickinson si espande nella mente del lettore ramificando in nuovi episodi e suggestioni. 

Ciò che fa è prendere quell’immagine che tutti conosciamo di Dickinson, e acquerellarla. Le tinte sono diluite ma i colori decisi; non ci servono informazioni troppo specifiche, ma riusciamo perfettamente ad entrare nella mente e negli spazi vitali che l’hanno vista spettatrice e protagonista, che hanno ascoltato il fruscio delle sue vesti, che hanno visto accadere la sua felicità e la sua tristezza. 

«Nella sua stanza ci sono un letto, un comò, un tavolino con una sedia e pile di libri ovunque. Nei libri ci sono tutti i paesi del mondo, le stelle del cielo, i fiori, gli alberi, gli uccelli, i ragni e i funghi. Moltitudini reali e inventate. Nei libri ci sono altri libri, come un palazzo di ghiaccio in cui ogni specchio riflette con un altro specchio, via via più piccolo, finché gli uomini non diventano delle dimensioni di una formica.

Ogni libro ne contiene cento. Sono porte che si aprono e non si chiudono mai. Emily vive in mezzo a un’infinità di correnti.»

Ai luoghi di Dickinson, che progressivamente si riducono fino a diventare solo pochi metri quadri, ma immensi, Fortier alterna i propri, i luoghi dell’infanzia, i luoghi della vita adulta, i luoghi della sua scrittrice del cuore che la chiamano come Itaca con Ulisse, e che allo stesso modo la terrorizzano: nello scrivere di una realtà rurale lontana da lei nel tempo e nello spazio si interroga su come la toponomastica dei luoghi ne modifichi la natura, e di conseguenza l’esperienza delle persone che li abitano. Le due dialogano da lontano, condividendo un linguaggio che è quello della poesia, che come Dickinson ci ha insegnato non ha bisogno di andare a capo o di rimare per essere tale. Condividono le lunghe ore a scrutare il mondo e soprattutto le città di carta: la prima le crea, la seconda rispettosamente le osserva, e a sua volta ne scrive.

Emily Dickinson ha raccontato il mondo guardandolo dalla sua finestra, e nella sua stanza erano presenti tutti i profumi e i brividi di cui aveva bisogno per vivere. 

«Scrive su carta, è vero, ma solo perché non può creare un album abbastanza grande da ospitare gli acquazzoni primaverili e i forti venti autunnali – perché non può realizzare un erbario di neve.»

Titolo: Le città di carta
Autrice: Dominique Fortier 
Editore: Alter ego
Prezzo di copertina: 16
Pagine: 187  

© Christina Bassi

 

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