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Ceci n’est pas une instant book.
Parliamo di "Trilogia della catastrofe – Prima durante e dopo la fine del mondo", uscito da poco per Effequ, un lavoro collettivo di tre autori, Emmanuela Corbé, Jacopo La Forgia e Francesco D’Isa.
Una sinfonia, la definiscono, che intende dar forma a ciò che intendono loro per principio, durante e fine di una catastrofe. Si parte da una ricerca etimologica: cosa significa il termine “catastrofe”?
La parola viene dal greco katastrophḗ, “capovolgimento”, ma nel tempo si è applicata a diversi ambiti con risultati simili ma in qualche modo sensibilmente differenti: nel saggio dedicato al principio della catastrofe, ad esempio, Emmanuela Corbé parte dall’applicazione matematica del termine, che intende riferirsi “allo studio della morfogenesi biologica col significato di interruzione del continuo, rottura di un equilibrio morfologico e strutturale”.
Può essere il Big Bang uno stravolgimento dell’assetto morfologico del sistema universo? Sicuramente sì, eppure ci pare ancora difficile credere alla teoria di una gigantesca esplosione abbia dato il via alla vita come la conosciamo oggi. È un gioco di fantasia quindi provare a immaginare una versione alternativa della Storia, un momento (nel caso dell’autrice si tratta del Congresso di Vienna) da cui sono partite le tradizioni, gli usi, i costumi che siamo stati obbligati ad imparare anno dopo anno a scuola. Un momento a cui dare la colpa per tutte le catastrofi successive, grandi, piccole o personali, a cui dare la colpa se, a marzo 2020, si è stati costretti a sbattere la testa sulla tastiera nel tentativo di far funzionare Zoom, Skype, Google Duo, Hangouts…
Per parlare del “durante” Jacopo La Forgia parte dal significato meglio riconosciuto al livello universale, quello di “improvviso disastro che colpisce una nazione, una città, una famiglia, un complesso industriale o commerciale”. È un reportage nel reportage, il racconto del suo viaggio indonesiano alla ricerca di fonti per poter finalmente far luce sul genocidio del 1965 che il governo ha taciuto per anni. È una storia straziante che mi ha riportato alla mente i fatti raccontati da Márquez in Cent’anni di solitudine, quando il capo della compagnia bananiera raduna i braccianti alla stazione per poi aprire il fuoco; di loro si salva solo José Arcadio Secondo, ma il massacro viene negato e José Arcadio muore pazzo e ossessionato da tutti quei cadaveri che solo lui ha visto.
«Per me, Jacopo, quello che è successo è come un grande fiume […] e come per un grande fiume, non è facile individuare il punto in cui inizia. L’acqua proviene da molte sorgenti, da molto piccoli affluenti che alla fine si uniscono al fiume e scorrono verso la foce.»
Per concludere Francesco D’Isa fa ciò che gli riesce meglio, ovvero parlare della morte. Ovviamente in questo caso la catastrofe siamo noi esseri umani, che acceleriamo la corsa alla decadenza del pianeta, noi che fumiamo, noi che non facciamo la differenziata, noi che mangiamo la carne pur sapendo che i maggiori contribuenti dell’emissione dei gas a effetto serra sono proprio le mucche che alleviamo. È un circolo vizioso che ci porta a chiederci anche e soprattutto adesso quali sono le nostre responsabilità in questa pandemia, cosa avremmo potuto fare per evitarla, cosa possiamo ancora fare.
Una conclusione quasi felice, in ogni caso, c’è: più che preoccuparci di come tutto inizia, delle responsabilità nostre o di quelle altrui, forse il senso profondo della catastrofe è proprio quello di sconvolgere, di mescolare le carte, di permetterci di modificare il corso della Storia (anche di quel passato prossimo a cui abbiamo innalzato statue, che adesso in America stanno cadendo perché è giusto che il passato esista ma è anche giusto che si sappia da che parte della Storia stare).
«Durante le crisi si presenta spesso un manipolo di coraggiosi pronto a immolarsi per cambiare il mondo, ma per fronteggiare un pericolo di questa portata un (pur necessario) cambiamento sociale potrebbe non bastare. Dobbiamo anche cambiare noi stessi e ribellarci contro la nostra essenza più antica e radicata. È difficile, se non impossibile. E se fosse troppo tardi? Un saggio disse che se il momento migliore per piantare un albero era vent’anni fa, il secondo momento migliore – ed è ormai evidente – è oggi.»
Post scriptum: Se tanto mi dà tanto, ceci n’est pas une recension (accettate la mia licenza poetica), ma quando si parla di catastrofi non c’è coerenza e non ci sono orologi o calendari Maya che tengano.
Titolo: trilogia della catastrofe
Editore: effequ
Autori: Emmanuela Carbé, Jacopo La Forgia e Francesco D’Isa
Prezzo di copertina: 15 €
Pagine: 197
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© Christina Bassi