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Sono rare quelle volte nella vita in cui ci si sente al proprio posto.
Ci sono dei momenti in cui i pezzi combaciano e ogni cosa si ordina, quasi a farci sentire sovrani di un regno incantato.
Poi, però, basta poco per far crollare gli equilibri: una tempesta (che sia un tornado che scoperchia case, una pioggia leggera o semplicemente un brutto sogno) ci fa perdere l’orientamento.
Tutto quello in cui crediamo, tutto quello che teneva unito il puzzle improvvisamente si perde lasciandoci confusi a cercare di ricordare che cos’era.
È così che Massimiliano Feroldi ci presenta il suo Oz: una distesa sconfinata alla ricerca di un ricordo felice.
Poche parole e tante pennellate, lo stile di Massimiliano lo abbiamo già conosciuto con i suoi due volumi “Storia di un piccolo re” e “Come il piccolo re imparò a volare” e insieme allo stile abbiamo conosciuto anche la sua immensa capacità di racchiudere grandi emozioni in immagini dai concetti semplici.
Stavolta dai suoi pennelli non escono gatti neri e pesci rossi, ma una sua personale reinterpretazione dei capisaldi del “Il meraviglioso mago di Oz”.
Leoni codardi, omini di latta senza cuore e spaventapasseri con la paglia al posto del cervello si fanno guide fra i campi dorati alla ricerca dei valori perduti.
Sfogliare le pagine che sembrano veri e propri dipinti, ci catapulta in un mondo magico dove la gentilezza è un requisito e il coraggio non è una scelta e ci basta chiudere gli occhi e tornare bambini per capire che nulla è perduto e che “Oz” esiste ancora.
Così, come per magia, tutto torna di nuovo al suo posto e il viaggio continua fino alla prossima tempesta.
© Giulia Cristofori