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Due giorni fa ho messo un mi piace a quelle immagini con un posto paradisiaco dove si sbandierano cose tipo “Accetteresti di stare un mese in questo posto senza cellulare, internet e carta igienica per un milione di euro?”.
Ieri mi ha contattato una misteriosa agenzia proponendomi una strana vacanza.
Oggi ho letto "Lavennder".
Ho deciso che domani non chiederò più le ferie.
Perché?
Voi leggete "Lavennder" e poi lo capirete.
Ah, dite che non basta come recensione? Che mi devo dar da fare di più?
Ok, ci proverò, però vi dico in anticipo che preferisco la montagna.
Iniziai a sentir parlare di "Lavennder" (con due N, mi raccomando) un po’ di tempo fa, seguendo la pagina facebook di Giacomo Bevilacqua. Interessanti tavole e prove di colorazione cominciarono a spuntare e buttare l’amo agli appassionati del suo tratto. Non si conosceva ancora molto di questo progetto se non che sarebbe stata una storia Bonelli.
E infatti è diventata una de Le Storie della Bonelli.
La prima cosa che viene in mente pensando a Bevilacqua è Panda, dai siamo sinceri.
Eppure Panda è solo la punta dell’iceberg, una punta abbondante ma pur sempre una punta. Le prove meno umoristiche dell’autore hanno dato prova della sua dote di saper gestire altri generi, e altre impostazioni stilistiche.
Se con “Il suono del mondo a memoria” (di cui vi avevamo parlato qui) la maturazione era ormai avvenuta, con questo “Lavennder”, Bevilacqua dà conferma della sua bravura e, anzi, alza l’asticella del metro di giudizio da usare con lui.
Le sequenze descritte non lasciano dubbi, il tratto pulito e colorato magistralmente fanno godere pienamente della storia.
Ecco, la colorazione…
In una delle prime anteprime mi ero proprio soffermato a notare il particolare della colorazione, di come sappia rendere vive le ombre e i riflessi nell’acqua (guardare le distorsioni sott’acqua per conferma, please). Questo è sicuramente un punto di forza notevole, che valorizza l’opera rendendola davvero completa.
Sono troppo serio?
Vero, dai… aspetta che penso a qualche stupidata da dire.
Uhm…
Ah ce l’ho!
Notato come Bevilacqua colora bene l’acqua?
Eh… Bevilacqua.
Acqua.
Eh eh eh.
Eh.
Ok.
Torno alla recensione, capito.
La storia.
La partenza non è delle più originali: una coppia raggiunge un’isola deserta per fare una vacanza di una decina di giorni.
Un viaggio organizzato da un’agenzia dal nome Lavennder che fornisce supporto nel caso ce ne sia bisogno ma che lascia completa libertà ai vacanzieri.
Eppure l’isola sembra essere meno deserta di quella che dovrebbe e già nei primi giorni i due protagonisti iniziano a scoprirlo.
Qualcosa di misterioso.
Qualcosa di… dimenticato.
Qualcosa che vi farà dire “Spero davvero non ci siano isole come quelle di Lavennder”.
Fino a qui, dicevo, nulla di nuovo. Eppure la scintilla veramente originale avviane a poche pagine dal finale, qualcosa che fa ripensare a tutta la storia in un’ottica completamente diversa. Qualcosa che vi farà capire che Bevilacqua ce l’aveva schiaffato in faccia dall’inizio… avevamo la soluzione all’enigma in prima pagina, perfino in copertina.
Basta.
Non posso dirvi altro, cadere nel lato oscuro dello spoiler è un attimo.
Un po’ come cadere nella battute brutte… ehm.
Giacomo Bevilacqua si conferma una sicurezza nel panorama fumettistico italiano. Fresco e dinamico, qualcosa di cui c’è bisogno e che, finalmente, sta prendendo piede anche da noi.
Contenti così?
Sono stato chiaro o ci sono dubbi?
E ora sciò, via… andate in spiaggia, al mare. Andate nella vostra isola deserta o accettate milioni di euro in cambio di un soggiorno senza facebook e i post di Recchioni.
Andate dove volete. Personalmente non voglio vedere acqua (ho detto acqua, non Bevilacqua) per tutta estate.
E poi l’ho sempre detto, io, che preferisco la montagna.
Lavennder
Giacomo Keison Bevilacqua (testi, disegni e colori)
Sergio Bonelli Editore
17 x 21,3 cm, pp. 128, col., brossurato
Genere: avventura
Data di pubblicazione: 12 luglio 2017
Di Giacomo Bevilacqua leggi anche: Metamorphosis Omnibus
© Alen Grana