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Se c'è una cosa che la musica ha il potere di fare (fra tutte le altre) è portare gli ascoltatori in un viaggio che a volte può solcare oceani e continenti interi. Poi ci sono quegli artisti che questa capacità l'hanno anche concretizzata nel reale e che hanno attraversato un oceano e ben due Paesi per ritrovarsi, due luoghi con lingue completamente diverse, luoghi pieni e vuoti contemporaneamente.
Il Paese d'arrivo – lo dico subito – è l'Islanda, una Islanda però non vissuta e vista con gli occhi di chi ci è nato, ma con gli occhi e la sensibilità di Ryan Karazija, alias Low Roar.
Ryan Karazija nasce e cresce in America (il Paese di partenza) e si fa conoscere – con un discreto successo – con il progetto indie Audrye Sessions. Dopo lo scioglimento del gruppo nel 2010, decide di perseguire il suo sogno di lunga data di trasferirsi in Islanda ed è proprio qui che nasce il progetto Low Roar.
Low Roar è il suono che accompagna la grandissima solitudine Islandese causata da spazi troppo grandi e troppo vuoti e dalla paura di aver commesso un errore.
Ryan Karazija si ritrova per sua stessa scelta in un paese nel quale non conosce nessuno e del quale non conosce la lingua, un paese che sembra inventato da uno scrittore fantasy particolarmente sadico e amante della natura.
Per combattere la solitudine e la malinconia causata dall'essere in un paese che non lo accoglie proprio a braccia aperte, decide di buttarsi completamente nel suo mondo musicale e scrive una canzone per ogni giorno in cui si sente così perduto e solo, ed è così che compone nel 2011 “Low Roar”, l'album omonimo che lo aiuta a concludere questo viaggio solitario: il disco è fatto di spazi ampi e desolati, di una bellezza che non si riesce a raccontare, delle promesse che una persona arriva a farsi pur di uscire dalla morsa di depressione e paura che attanaglia chi vive in uno stato di solitudine continua.
Eppure per tutta la durata delle canzoni rimane in sottofondo una sorta di melodica speranza, una leggerezza che permette al cuore di volare alto e allo spirito di allargarsi a dismisura fino a riempire quei vuoti. È il permesso che Low Roar si dà e dà agli ascoltatori di infilarsi nelle sue stanze interiori per trovare un po' di calore, per stringersi tutti insieme davanti alla sua chitarra nell'eco delle canzoni nate per non perdere la speranza, nella descrizione dei paesaggi aridi e freddi e nel bisogno di raccontare al mondo intero che il vuoto e gli spazi troppo grandi, a volte, non sono altro che i rifugi adatti a intraprendere la strada per perdersi completamente e poi imparare a ritrovarsi.
Bonus: Le tre canzoni da ascoltare per innamorarsi subito di questo album sono: “Give Up”, “The painter” e “Puzzle”.
© Fiorella Vacirca