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Ho sempre seguito con un certo distacco la musica italiana. Sono cresciuto con l’Alpha e l’Omega della musica, la classica e il rock più ruspante e delle note italiche ho assorbito solo le arie più famose, qualche canzoncina obbligatoria, tormentoni estivi e pubblicitari. Tuttavia, qualche flebile passione l’ho coltivata.
Il mio scarso interesse è dovuto anche ad un altro motivo: in tutto, nella vita e nelle espressioni artistiche, ho sempre prediletto la versione femminile, quella più distante da me e quindi più affascinante. Del resto, se le Sirene fossero state maschili, Ulisse non si sarebbe fatto legare all’albero della nave per ascoltarle.
Però, quando mi hanno proposto di ascoltare Fabio Cinti sono stato attratto dal nome: Fabio Cinti, cinque lettere più cinque, tutte inserite nella prima metà dell’alfabeto, a parte quella "-TI" che va a chiudere il tutto. Un completo sconosciuto per le mie orecchie alle quali, con interesse e curiosità, ho regalato solo gli ultimi CSI prima dello scioglimento.
Ed è così che completamente vergine mi sono dedicato all’ascolto di “Forze elastiche”, venti brani come venti furono gli anni che impiegò Ulisse per tornare nella sua Itaca. Un numero di tracce che rappresentano un’eccezione o perlomeno una rarità.
"Io Milano di te" già colpisce, ti inserisce in un contesto metropolitano, con voci che gracchiano da un altoparlante e una cadenza vocale, un timbro di voce che nella mia memoria richiama i Negrita. E poi stilettate di archi in stile arabo. Chi va a Milano fa pure shopping, osserva l’opulenza dall’altra parte del vetro e "Mondo in Vetrina" pare proprio la versione maschile di "Memobox", dei miei tanto amati Ustmamò, e pure un ritornello in stile CSI: “C’era chi diceva le regole son morte invece erano storte ma non se ne accorgeva”.
La gente che mente, con quella chitarra malinconica e il fraseggio iniziale mi riporta alla mia adolescenza, mi fa partire da una canzone di Al Kooper (valli a capire questi legami) per terminare poi con il più classico Battiato di cui si scorge la verve invettiva in "Che Cosa Hai Fatto Per Meritarti Tutto Questo" dove Fabio Cinti si sfoga con il verso: “In Un crogiuolo di buoni sentimenti, dovuti all’immenso sorriso del cantante Lorenzo Cherubini, paladino di bontà multirazziale, vuol fare il Tommaso Campanella su Sorrisi e Canzoni TV, spinto da tensione cristiano comunista, contiene il tutto e il contrario di tutto, la grande Chiesa da Che Guevara a Madre Teresa di Calcutta”.
La cosa interessante è che questa canzone parte con un ritmo e uno stile che mi ricorda Samuele Bersani e poi diventa un Max Gazzè e si conclude con un coro alpino che recita una frase all’apparenza banale: “Tu se non sei il più buono sei il più cattivo”.
"Come Bennet" apre con uno slide di chitarra, ti aspetti un blues texano, poi l’atmosfera vibra e ti ritrovi in una frase: “Io per esempio rido tanto ma molti non lo sanno”, una frase che dicevo spesso quando qualcuno mi faceva osservare che ero troppo serio.
Proseguendo nell’ascolto si ritrovano spesso le influenze di Battiato, Giovanni Lindo Ferretti, un accenno ai Bluvertigo e poi chissà, un orecchio più educato del mio potrebbe riconoscerne molte altre.
"Forze Elastiche" è un disco eclettico, nutrito da semi letterari che arrivano da piante come Bachmann e Bernhard e procede in buona compagnia, con le voci di Nada ("Cadevano i Santi") e Irene Ghiotto ("Wait For The Winter"). Ci trasporta in un lungo viaggio verso la canzone italiana, un ritorno a Itaca sul quale stona (o forse spicca) la classica "Biko" di Peter Gabriel. Su questa ci sto riflettendo.
Che sia una porta verso una fuga, o un nuovo allontanamento da Itaca?
© Paolo Perlini