Una leggera sfumatura rossastra | Racconti Indigeribili

Una leggera sfumatura rossastra | Racconti Indigeribili

Scritto da Serena Barsottelli
Illustrato da Sara Corsi


Una leggera sfumatura rossastra

Una striscia chiara di fondotinta taglia la tua guancia a metà, disegnando due triangoli rettangoli simmetrici.
Disegni tre punti rosati sullo zigomo e, appena più in basso, una striscia scura e fredda. Fai una seconda passata con entrambi i colori, rammentando quel video utile a ravvivare l’incarnato.
Morta, senza sangue, senza emozioni. Come appari fuori, adesso, così ti senti dentro. Qualcuno in sala deve aver rotto un piatto: hai sentito lo sciabordio dei cocci, una voce acuta ripetere la parola ‘scusa’. Porti la mano destra sul cuore, osservando il tuo riflesso allargare e stringere il petto a un ritmo sempre più lento. Quando il battito si regolarizza, riprendi.
Le setole del pennello sono naturali. Tutto quello che è sintetico non ti piace. Una verità che vale anche per i vestiti: canapa, cotone; nei periodi dell’anno più rigidi, della lana non troppo ispida, ché la pelle della schiena è delicata e arrossirebbe dopo pochi minuti. Inizi a plasmare la guancia e una strana tavolozza si disegna sulla tua faccia.
Fuori, un’automobile rallenta in prossimità dell’incrocio. Dall’autoradio sale la voce calda di uno speaker: “oggi vi chiediamo di raccontarci l’incontro che vi ha cambiato la vita. Potete chiamare il 3883_”. Un colpo di clacson, una maledizione indistinta. Poi niente.
Sospiri, alzando e abbassando le spalle nude con lentezza.
TOC TOC oltre la porta.
Il rumore arriva nel momento più delicato: disegnare con una matita, poco più scura delle proprie labbra, un contorno che esce dai bordi. Appena appena, in modo che, una volta coperto con il rossetto, la bocca sembri carnosa.
Non puoi parlare, perché rischieresti di sbavare il colore. Dovresti lavare via tutto, e ricominciare da capo.
La maniglia grigia si abbassa. La ragazza con il vestito blu si ferma di fronte all’altro lavandino. Lascia che il sapone crei una patina bianca sulle mani e osserva le bolle che, una dopo l’altra, finisce con il dito indice. Lo smalto lucido dello stesso colore dell’abito su un’unghia troppo affilata. Potrebbe ferirsi, se continuasse.
Una sfumatura scura nell’angolo esterno dell’occhio, un tocco di luce in quello interno. Cerchi nello specchio l’immagine dell’altra: sta insaponando le mani, ancora. Con la matita nera tracci una riga sull’attaccatura cigliare e una coda che sale verso le sopracciglia.
L’altra sta insaponando le mani, ancora e ancora.
Vorresti chiederle se sta bene, ma pensi non sia il caso. Magari ha raccolto un coccio di piatto e si è ferita. E infatti, l'acqua insaponata scivola via dalle sue mani: ha una leggera sfumatura rossastra, come la sua bocca.
Dovresti tenere ferma la mano mentre con lo scovolino del mascara ti avvicini al primo occhio. Eppure tremi. Ti chiedi perché non hai indossato la giacca più pesante prima di uscire di casa e chi te lo ha fatto fare di venire in questo ristorante. Hai ripulito il piatto. Poi in bagno hai ripulito lo stomaco. Il tuo viso puzzava di vomito e hai dovuto lavare via tutto.
Tossisce, la donna dal vestito blu. Tossisce e ti distrae. Ributti dentro i trucchi, dimentichi persino la trousse sul lavandino. Vorresti uscire, ma non puoi lasciarla così.
Ti posso aiutare?
Tossisce ancora, senza rispondere.
Ti avvicini alle sue spalle. La sfiori, alza il viso verso lo specchio, ti vede, la vedi. Hai già pensato di essere morta, stasera? Da quanto ti senti così, ogni giorno?
Il rossetto uscito dai bordi della matita, il fard scivolato in strisce disperate verso il mento. Le mani rosse, le sue, e le tue. Il suo sangue, il tuo sangue. Ti sei uccisa anche oggi. Lei, invece, si è lasciata uccidere da qualcun altro.
Dura un battito di ciglia, poi ci sei tu e c’è lei. Il trucco perfetto sul tuo volto. Le mani insaponate della sconosciuta rosee e immacolate.
Credevo avessi bisogno, borbotti. Ti guarda, la guardi. Indietreggi, lei rimane ferma. Afferri l'astuccio ed esci, i capelli in disordine. Ti sei dimenticata di sistemarli, ma te ne ricordi troppo tardi, quando gli sguardi degli altri incontrano i tuoi.
Il ticchettio dei suoi tacchi sovrasta le voci in sala. Si siede a un tavolo vicino. Un uomo le prende la mano, lei lo lascia fare.
Ne vuoi?
Come, scusa?
Un po' di vino.
Grazie, faccio da sola.
Afferri la bottiglia con troppa forza e lasci cadere due gocce rosse sulla tovaglia bianca.
Qualcuno dice che il vino ha il colore delle tue labbra. Sorridi.


© Racconto di Serena Barsottelli | Illustrazione di Sara Corsi | Editing di Chiara Bianchi


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