Fatta a pezzi | Racconti Indigeribili

Fatta a pezzi | Racconti Indigeribili

Scritto da Savina Tamborini
Illustrato da Dario Licata


Fatta a pezzi

Saqib ti aspetta sul divano sfondato. Le pentole sono rimaste in disordine. Sul collo ha ancora i segni dei tuoi baci, al ricordo delle carezze gli viene la pelle d’oca; al pensiero di te che glielo prendi in bocca ha un’altra erezione.
Carica la moka. C’è ancora la tua tazzina sporca nel lavello. Ti aveva abbracciata forte da dietro e baciata sulla nuca. Per poco non ti scottavi e cadeva tutto. Ma a te non importava niente, neanche del dolore.
Ha quasi smesso di piovere, schierati sul tavolino, uno accanto all’altro, i telefoni con gli schermi crepati, come tagli. Il tuo l’hai lasciato per paura che te lo sequestrassero, come hanno fatto col documento, i tuoi sogni e tutto il resto.
Saqib si sdraia sul divano. Nessuna vibrazione, nessuna melodia rock.

«Saman, siamo noi la tua famiglia e tu devi fare quello che diciamo e basta! Ci appartieni, Saman, sei nostra».
«Che dici?».
«Ora sei maggiorenne?».
«E chissenefrega».
«Ascolta Saman, tu sei il sangue del nostro sangue. Sangue che uscirà dalla tua boccaccia, se non la smetti. Zitta, Saman, zitta!».
«Cosa?».
«Senti brutta stronza, tu così ci avveleni la vita! Il velo l’hai bruciato nell’aia che per poco uccidevi le galline. Vai in giro come quelle puttanelle truccate, col culo e le tette di fuori. Eh no, Saman! Non ti sono bastati gli schiaffoni di tuo padre e l’occhio pesto che ti ha fatto zio Danish?!».
«Saman, tu non sei italiana e non lo sarai mai!».
«Novellara non è casa tua, qui non hai scampo, sposerai tuo cugino Akmal e vivrai al villaggio, hai capito?».
Il corpo è mio, dici, e ci faccio quello che voglio.
«Il rossetto te lo avevamo proibito, ma lo metti quando vai dal tuo Saqib. Te lo farei ingoiare e mandare giù a forza».
«È inutile che piangi».

Tuo padre batte il pugno sul tavolo: «Allora siamo tutti d’accordo, vero?».
Tua madre dondola sulla sedia: «È l’unica soluzione».
Tuo zio gira il tè con il cucchiaio: «Non vi preoccupate, sarà un lavoro fatto bene».
Tuo cugino Nomanhulaq alza fiero la testa, tuo cugino Ikram fa un sorso di Cola, appoggia la lattina e si copre la faccia con le mani. Sulle sue gambe che tremano c’è una corda. Un colpo di vento fa sbattere la finestra. Tua mamma si alza di scatto, la chiude. «Presto, su, Saman sta arrivando!». Agita in aria le mani. «Ma che aspettate, muovetevi!». Mette la tua carta di identità nel cassetto, lo richiude, la chiave finisce nascosta tra i seni. «Col cazzo che te la ridiamo!».
«Noi ci sputiamo sopra a te e a Saqib e a tutte le vostre stronzate. Partirai con noi e sarai la regina del villaggio».
«Ecco, sta arrivando».
Tua madre sta in piedi, Ikram dietro, col volto nascosto. Nomanhulaq serra le labbra, vicino a lui tuo padre. Zio Danish apre la porta.
Entri senza velo, profumi di primavera, hai il rimmel e le ciglia all’insù, il piercing al naso e il rossetto spalmato sulle labbra.
Rivuoi il documento, è mio, dici. Non voglio sposarmi, non voglio venire con voi, urli.
«Saman, noi il documento non te lo daremo mai. Tu verrai in Pakistan e sposerai tuo cugino Akmal».
Mamma, papà, piagnucoli. Vi supplico.
Parli di Saqid come se fosse il tuo salvatore, un Muhammad bin Qasim col cavallo bianco.
«Cosa dici? In Belgio, una nuova vita perché lui ti rispetta, lui sì che ti ama? E noi, Saman, di cosa abbiamo bisogno n-o-i, la tua famiglia? E piantala di parlare di amore, amore…».
«Dillo che ci hai già scopato con Saqid. E guardami in faccia stronza! Puttana, ecco, hai rovinato tutto».
Io lo amo, dici. È naturale fare sesso con chi si ama.
Ma l’amore è come una medusa, se la tocchi ti brucia.
Tua madre guarda tuo padre. «E adesso come facciamo con Akmal? C’ha la fica sfondata. Se l’avesse inculata, avremmo potuto rimediare».

Punti il dito contro di loro. Vi ho già denunciato e lo rifarò! Dai uno spintone a tua madre. 
Zio Danish si gratta le palle; è il segnale. Nomanhulaq è già su di te. Tua madre dà una gomitata a Ikram, la corda gli cade. Dai, imbecille, legala!
Ti dimeni, scalci, urli.
La forza di Ikram trattiene le tue gambe. Le mani di tuo zio stringono il tuo collo e le dita attorno si gonfiano sempre più rosse. Hai gli occhi spalancati, se potessero sparare, ma sono loro a prendersi la tua vita, per sempre Saman.
Lo zio molla la presa. Il tuo corpo cade.
«L’abbiamo fatto per il tuo bene».
«Abbiamo fatto la cosa giusta».
«Il problema è risolto».
Un tuono scoppia da lontano. Sulla finestra la pioggia ticchetta piano e subito forte come un secchio d’acqua rovesciato.
La tua famiglia di sangue segue il piano come un’orchestra. Zio Danish prende il sacco blu. Ti mettono dentro. Ikram no perché trema tutto contro il muro. Zio Danish gli dà una botta in testa. Tuo padre ti infila per i piedi, una mano non vuole entrare, tua madre la spinge dentro. Danish ti infossa la testa. Tuo padre prende la vanga, tuo zio prende il piede di porco. Inarcano le schiene e sotto i colpi le tue ossa si spezzano. Ikram si tappa le orecchie. La finestra è rigata da scrosci, un lampo illumina il pioppo.
Tua madre si siede: «Cibo per porci, ecco quello che sei».


© Illustrazione di Dario Licata | Racconto di Savina Tamborini | Editing di Chiara Bianchi 


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