Le omissioni | Racconti Indigeribili

Le omissioni | Racconti Indigeribili

Scritto da Rodolfo Marraffa
Illustrato da Serena Garlaschelli


Le omissioni 

Mi stacco dal letto e la mia bava da lumaca fa fatica a spostarsi con me. Appoggio i piedi piatti sul pavimento freddo, di briciole e macchie lerce indurite. Calzo le pantofole; i miei lenti movimenti sono guidati da muscoli che dormono ancora, atrofizzati anche in futuro.  La mia vestaglia riposta su una parte del letto, la prendo. Indosso una coperta fino ai talloni come fosse un mantello. Madre! dico, niente, probabilmente è giù con Padre. E allora Padre, urlo, nessuna risposta, magari è veramente con Madre. La nausea incide con un bisturi il disgusto quotidiano nella glottide. Le scale le scendo: quasi mi lascio andare in caduta ma questo volo, desiderabile o no che sia. Le scendo piano e mi dirigo nel seminterrato. Altre scale. Questa volta si fanno di ferro e mutano forma a spirale, sempre più piccole. La porta di ferraglia mi introduce in uno spazio male illuminato. Un cucinotto decadente ancora funzionante, in un angolo cibo per gatti, il Gatto arancione che mi fissa: sembra spaurito. Non dovrebbe esserlo, vengo qui ogni mattina. La poltrona elettrica color crema e reclinabile, a motore, mi attende. Appesi al muro bianco giallognolo di sporco e muffa, un rilievo d’oro che raffigura una falce e martello incrociate. Pigiando il bottone del telecomando metto in moto un brusio elettrico, il filo lo noto perché fuoriesce dal cuscino posteriore della poltrona. Ecco Madre!
«Ah, sei qui sulla poltrona. Volevo chiederti di Sorella. È uscita?».
«Certo, come ogni mattina».
«Mhmm, non me lo ricordo mai, sai. Hai fatto colazione?». «No, mancano le uova».
«Quindi?»
«Quindi un corno, non ho mangiato».
«Aspetta, ora mi inginocchio e le covo, dopo averle fatte sbucare dal retro». «Interessante, vorrei sapere anche io come si fa. Le galline, del resto, si fanno sbattere, sono semplicemente tappetini dei galletti».
«Almeno loro un gallo lo hanno».
Gatto salta sul bracciolo, il motorino delle fusa è acceso. Guardo Madre e la sua anzianità, questo convulso sbattere di occhi, allergia, fotofobia, magari chiuder gli occhi per sempre. La paura della solitudine mi spinge a seguirla e aderire a lei. «Non sembri desto, dormito male?».
Padre.
«Che vuoi?».
«Di buon umore stamane!»
«Devi stare zitta, voglio essere lasciato in pace».
«Devi andare a parlare con il direttore in banca?»
Silenzio, pausa, ora Gatto si affina le unghie nella parte bassa della poltrona. L’ho trovato per strada, qualche anno fa sotto la macchina di Padre, miagolava, prendilo è bagnato. Tu vieni con me, ho detto. Miao. Padre mi ha visto e cosa ci fai qui. Nulla, ho risposto. Palle e bugie mi dici, mi ha detto. Sei esperto, gli ho detto. Cosa? Nulla, nulla.
«L’appuntamento è saltato».
«Mhmm, salta spesso. È impegnato?».
«Non è impegnato».
«È poco serio?»
«È molto serio». «Ti prende in giro?»
«Mi hai rotto le palle, vedi di rimaner zitta».
Ora torno di sopra, anzi rimango ancora un altro poco. Sono troppo stanca per alzarmi. Rivedo Padre e Madre nelle loro pose plastiche da giovani attori, corpi freschi, li vorrei vestire come meglio credo. Un forcone a tre punte, lungo quasi come il mio braccio giace sul tavolo vicino a Padre: possiede riflessi tra il rosso bruno e il giallo cadaverico.
«Ecco questi maledetti soldi per la maledetta spesa. Li pigli o no?»
«Sì, certo. Però ancora così, questi gesti, questa modalità».
«Ma che vai trovando?».
«Non saprei, potresti arrivarci».
«Carogna sei, poverina».
«Lanciarmi addosso le cose, mica va bene».
«E che lo decidi tu come mi comporto io? Lo ripeto, stai attenta. Verrà prima o poi la stampa a intervistarmi, la cronaca in diretta con le telecamere!».
«Sarà nera o bianca, sei bravo a lanciar soldi, qui sul tavolo. E non solo».
Il brusio elettrico diviene un moto frizzante, che frigge, di fili elettrici al limite del corto circuito. E cresce: i sibili di diverse frequenze sonore si staccano autonomi per poi immergersi di nuovo nel plasma dei suoni. Gatto aspetta immobile, con gli occhi sgranati, un mio gesto.
«Che vuoi dire? Lanciare i soldi, non riesco a capire».
«Vuol dire che sappiamo che fine ha fatto la tua liquidazione. Sappiamo le modalità, tutta la tua esistenza parallela, il tuo problema». «Come lo sapete?»
«Non è difficile arrivarci».
«Voi spregevoli. Non avete idea di quello che avverrà. Mi sento strano, mi sbatte la testa, mi devo sedere».
«Non devi preoccuparti. A noi quel che hai fatto non interessa, non ci importa, quel che vogliamo è che ritorni a te stesso, alla nostra vita».
«La pagherete, carogne!».
Padre scatta fuori come un diavolo e imbraccia il forcone, Madre non scatta e imbraccia l’aria con le mani aperte.
«Nooooo, ti supplico. Nooooo».
Uno scoppio: i corpi effimeri di Padre e Madre scintillano il quadro di Rosa Luxemburg piange lacrime di carbone la falce e martello per terra separate per sempre scoppiate il forcone incrostato che penzola dai corpi di silicone e circuiti smembrati. Gli occhi sono fuori dalle orbite come molle penzoloni e membra bioniche sparse per il pavimento di cotto, color giallo ocra. Padre e Madre scattano e fumano neri.
Neanch’io mi sento troppo bene, questa debolezza che ti prende quando uno salta i pasti. Nel caos che mi assale da smottamento del divano che incaglia, si inceppa il motorino, ascolto un altro rumore che si stacca dal suono mescolato delle frequenze scoppiate: il campanello della porta.
Salgo queste scale sporche di cenere, le ha seppellite un’eruzione vulcanica di omissioni, e mi dirigo verso la porta mentre il vulcano sotto brontola. Vedo questo uomo in grigio totale, maniche lunghe e larghe. All’improvviso, due braccia escono fuori dal mantello e mi cingono il collo per leggere il mio dispositivo.
«Lei ha mancato di sostituire i due modelli vecchi con gli F4J3 che le abbiamo fatto recapitare. Segnalerò la questione alla divisione traumi infantili del CDP –al tempo Comitato del Dolore Pubblico».  «A mia discolpa dico che non ho avuto tempo!».
«La quarta fase del programma riabilitativo prevede una attiva partecipazione. E lei è tenuta a occuparsene».
Una corrente grigia di fumo, come il vestito dell’Emissario del CDP, sta prendendo sempre più spazio in casa, dietro di me.

 © illustrazione di Serena Garlaschelli | Racconto di Rodolfo Marraffa | Editing di Chiara Bianchi 


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