© illustrazione di Sergio Kalisiak | Racconto di Serena Baldo
L’uomo che uccise la propria coscienza
Era un mercoledì di pioggia di un novembre sciagurato.
Il vento ruggiva, la terra tremava. Gli uomini si nascondevano in rifugi di tegole e mattoni.
Ma c’era un uomo diverso da tutti gli altri, che non intimoriva davanti alla tempesta bensì di fronte a se stesso.
Ma c’era un uomo diverso da tutti gli altri, che non intimoriva davanti alla tempesta bensì di fronte a se stesso.
Quell’uomo era il signor L. e l’infausto mercoledì aveva ucciso la propria coscienza.
L’aveva ammazzata con un colpo di arma da fuoco. Una pallottola sparata all’altezza della fronte, con un fucile da caccia grossa immatricolato nel ‘64. Lo stesso fucile che aveva ereditato dopo la morte di suo padre, insieme a un servizio di tazzine dall’orlo sbeccato e a un casale da demolire.
Quella mattina il signor L. si era alzato male. L’acqua piovana che gocciolava dal tetto non bastava a tormentarlo. Ci si metteva pure la sua coscienza, che svegliatasi alle due di notte non aveva più smesso di sussurrargli all’orecchio fino alle sei del mattino. Aveva bisbigliato ininterrottamente, blaterato senza freni. E il torto, e la ragione. Il prossimo, il male, Dio, il dolore, il rancore. La cosa giusta.
L’uomo non l’aveva più fretta. Basta discorsi sul pentimento e sul senso di colpa. Basta sermoni, rimproveri, religione.
Il signor L. aveva imbracciato il fucile e senza pensarci due volte aveva premuto il grilletto.
E così, di punto in bianco, quella del signor L. era divenuta un’esistenza fatta di passioni e di vizi assecondati. Non esistevano più decisioni giuste o sbagliate. Non un rimprovero, non un giudizio. Nella sua mente non abitavano più voci a commentare la sua vita.
L’uomo privo di coscienza viveva in piena libertà, senza assumersi responsabilità e senza pensare alle conseguenze delle sue azioni.
Non era trascorsa nemmeno una settimana e già il signor L. aveva dimenticato che aspetto avesse avuto la sua coscienza, compagna di una vita.
Prese a giocare d’azzardo. Usciva all’una del mattino e rientrava appena prima dell’alba. Si metteva a letto e lì restava, fino alla notte successiva, quando la bisca apriva i chiavistelli al suono di un sussurro concordato.
Andava a donne, organizzava rapine. Spendeva tutto in oggetti inutili e costosissimi.
Quando comprese che avrebbe potuto ottenere di più, il signor L. cominciò ad interessarsi di politica. In cambio di favori si assicurò il voto di amici e nemici. In paese la gente lo riconosceva e stendeva tappeti rossi al suo passaggio.
Stava per candidarsi alle elezioni provinciali, ma poi concluse che conveniva darsi alla carriera militare.
Meno responsabilità e più potere effettivo.
Si arruolò nell’arma dei Carabinieri e raccomandato da un uomo di cui era creditore da molto tempo venne presto promosso di grado.
Una mattina di pioggia il brigadiere L. venne assegnato per un sopralluogo. Avevano segnalato un colpo di arma da fuoco, in campagna. Giunsero con il blindato nei pressi di un casolare semi abbandonato. Vi si introdussero di soppiatto.
La scena che si presentò ai loro occhi fu tremenda.
Di fianco ad un catino per raccogliere l’acqua che gocciolava dal soffitto, il corpo di un uomo era steso a terra su di un nudo materasso, il volto trasfigurato da un colpo auto inferto all’altezza della fronte.
Un fucile da caccia grossa di vecchia immatricolazione stava a un passo di lì.
L’aveva ammazzata con un colpo di arma da fuoco. Una pallottola sparata all’altezza della fronte, con un fucile da caccia grossa immatricolato nel ‘64. Lo stesso fucile che aveva ereditato dopo la morte di suo padre, insieme a un servizio di tazzine dall’orlo sbeccato e a un casale da demolire.
Quella mattina il signor L. si era alzato male. L’acqua piovana che gocciolava dal tetto non bastava a tormentarlo. Ci si metteva pure la sua coscienza, che svegliatasi alle due di notte non aveva più smesso di sussurrargli all’orecchio fino alle sei del mattino. Aveva bisbigliato ininterrottamente, blaterato senza freni. E il torto, e la ragione. Il prossimo, il male, Dio, il dolore, il rancore. La cosa giusta.
L’uomo non l’aveva più fretta. Basta discorsi sul pentimento e sul senso di colpa. Basta sermoni, rimproveri, religione.
Il signor L. aveva imbracciato il fucile e senza pensarci due volte aveva premuto il grilletto.
E così, di punto in bianco, quella del signor L. era divenuta un’esistenza fatta di passioni e di vizi assecondati. Non esistevano più decisioni giuste o sbagliate. Non un rimprovero, non un giudizio. Nella sua mente non abitavano più voci a commentare la sua vita.
L’uomo privo di coscienza viveva in piena libertà, senza assumersi responsabilità e senza pensare alle conseguenze delle sue azioni.
Non era trascorsa nemmeno una settimana e già il signor L. aveva dimenticato che aspetto avesse avuto la sua coscienza, compagna di una vita.
Prese a giocare d’azzardo. Usciva all’una del mattino e rientrava appena prima dell’alba. Si metteva a letto e lì restava, fino alla notte successiva, quando la bisca apriva i chiavistelli al suono di un sussurro concordato.
Andava a donne, organizzava rapine. Spendeva tutto in oggetti inutili e costosissimi.
Quando comprese che avrebbe potuto ottenere di più, il signor L. cominciò ad interessarsi di politica. In cambio di favori si assicurò il voto di amici e nemici. In paese la gente lo riconosceva e stendeva tappeti rossi al suo passaggio.
Stava per candidarsi alle elezioni provinciali, ma poi concluse che conveniva darsi alla carriera militare.
Meno responsabilità e più potere effettivo.
Si arruolò nell’arma dei Carabinieri e raccomandato da un uomo di cui era creditore da molto tempo venne presto promosso di grado.
Una mattina di pioggia il brigadiere L. venne assegnato per un sopralluogo. Avevano segnalato un colpo di arma da fuoco, in campagna. Giunsero con il blindato nei pressi di un casolare semi abbandonato. Vi si introdussero di soppiatto.
La scena che si presentò ai loro occhi fu tremenda.
Di fianco ad un catino per raccogliere l’acqua che gocciolava dal soffitto, il corpo di un uomo era steso a terra su di un nudo materasso, il volto trasfigurato da un colpo auto inferto all’altezza della fronte.
Un fucile da caccia grossa di vecchia immatricolazione stava a un passo di lì.
Illustrato da Sergio Kalisiak
Scritto da Serena Baldo
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